Il Casale di Posillipo

Percorro via Caracciolo che è mattino presto. Albeggia, il sole sorge alle spalle del Vesuvio e illumina l’orizzonte dove appare dolce, lucente e sinuosa la collina di Posillipo. La sirena distesa sul mare a chiudere il golfo. L’antica Ammenus poi diventata Pausilypon, termine che racchiude in sé la bellezza, la bontà e la gioia del luogo. Per molti il nome fu un’intuizione di Publio Vedio Pollione, generale romano che decise di viverci costruendo la sua splendida villa tra la Gaiola e la Baia di Trentaremi; per altri invece è collegato alla presenza nella zona della scuola filosofica Epicurea che insegnava agli uomini a liberarsi dagli affanni per raggiungere la felicità interna. Posillipo icona, romantica, sensuale. Posillipo fondale pittoresco nella dimensione metropolitana di Napoli; paesaggio perfetto e pienamente corrispondente alle esigenze di ricerca dell’emozione e del bello. “Pusilleco addiruso, addò ce sta nu pergulato d’uva rosa” così ben descritto dal duo Murolo e Gambardella. Posillipo luogo antico scoperto dai Greci e esaltato dai Romani. Posillipo per storia e geologia più vicino ai Flegrei che a Napoli.

Quel che mi spinge oggi ad andare a Posillipo è la ricerca di qualcosa di diverso, di antico e forse più autentico. Qualcosa che sfugge oggi all’attenzione dei più e non rientra nell’immaginario collettivo ma che pure è stato l’insediamento originario di Posillipo. Sulla collina, infatti, sono ancora visibili i profili degli antichi nuclei dei Casali oggi inglobati dalla moderna espansione edilizia che ha modificato i rapporti tra i villaggi e la costa. Mi piace l’idea di ricostruirne i confini e ritrovare tracce della loro identità. Mosso dalla curiosità, decido di raggiungere la parte più alta della collina, lasciare le strade panoramiche per immettermi in vicoletti, percorrere stradine, salire scale e seguire l’istinto.

Data la lontananza sia dalla città che dai centri flegrei, l’insediamento originario di Posillipo, caratterizzato dall’attività agricola, assunse la struttura di una comunità autosufficiente con un sistema basato principalmente sull’autoconsumo. Inoltre, per evitare fenomeni di migrazione verso il centro di Napoli, gli abitanti della zona, fin a tutto il 1600, goderono di numerosi privilegi fiscali. In effetti l’isolamento durò molto a lungo e solo nel 1643, grazie al viceré Medina della Torres, le rampe di Sant’Antonio furono rese carrozzabili creando così una via di comunicazione diretta con Napoli. Prima di allora per accedere al litorale si percorrevano ripide salite, lunghe gradinate, cupe o canaloni. A partire dal ‘400, accanto agli insediamenti agricoli, si stabilirono alcune comunità religiose proprietarie della maggior parte dei terreni dai quali traevano ingenti rendite. Oltre che sull’agricoltura i religiosi esercitavano il loro diritto anche sul pescato. Quando poi nella seconda metà del Cinquecento, cominciarono a svilupparsi i due nuovi villaggi di Villanova e Porta di Posillipo più vicini alla città, la costa tornò nuovamente a popolarsi di ville signorili e il reddito delle comunità monastiche si arricchì di nuovi proventi, derivanti questa volta dalla trasformazione delle attrezzature agricole in masserie organizzate o in residenze di villeggiatura.

I villaggi più antichi erano quelli di Angari e Megaglia che, nel Medioevo, con Santostrato e Spollano formavano il Casale di Posillipo, giuridicamente ed economicamente autonomo. Il villaggio di Angari si svolgeva ai lati di una stradina che partiva dalla Torre Ranieri, ancora oggi chiamata Cupa Angara, dove sono riconoscibili resti di case rurali. Un’altra strada partiva da Angari e portava direttamente a Villanova. Oggi è nota con il nome del Marzano e nel percorrerla si respira ancora una certa atmosfera rurale. Gli odori, i suoni, i colori e l’aria ti fanno allontanare dalla dimensione di città.

Il casale di Villanova si sviluppava secondo uno schema lineare lungo la strada omonima, delimitata dal vallone che scendeva verso il mare e dalla strada che conduceva a Santostrato. Nella piazzetta del villaggio ancora oggi si conserva in buone condizioni la chiesa di Santa Maria della Consolazione costruita nel 1737 da Ferdinando Sanfelice su una cappella che Eleonora Piccolomini, principessa di Bisignano, nel 1488 fece erigere nel suo fondo e che in seguito fu unita a due chiesette poco distanti ormai in rovina. L’interno della chiesa è molto luminoso e conserva l’altare maggiore in marmi policromi e una bella tavola del Cinquecento. Sono curioso e decido di entrare. Mi viene subito incontro il custode gentile, accogliente e soprattutto contento che un “forestiero” visiti la chiesa. Tempo due chiacchiere cordiali e lui orgoglioso mi chiede di seguirlo per mostrarmi una cosa interessante e mi a racconta una storia. La chiesa subì notevoli danni per il terremoto del 1980 e il pavimento in parte crollò mettendo in mostra antiche mura, parte di una pavimentazione in cotto maiolicato e in marmo del 400, e una lapide marmorea con stemma sulla cui tomba si leggeva il nome in latino di Giovanni Napolitano morto nel 1545. Nel 1982 durante i lavori di ristrutturazione furono rinvenuti una ventina di scheletri provenienti da una fossa comune. Il parroco di allora volle dar loro una più onorata sepoltura, mettendoli nella tomba del napoletano privilegiato in contrasto con le usanze secolari, che hanno sempre previsto un ossario comune per i poveri ed il monumento funebre per il nobile. Da Villanova si giungeva poi a Porta Posillipo, l’ultimo casale della collina che si affacciava sul vallone di Bagnoli. Il villaggio all’incrocio con le rampe di Sant’Antonio terminava con una porta che veniva chiusa durante le incursioni barbariche.

Santostrato è il più grande nucleo abitato della collina e ha uno schema ad avvolgimento con al centro la chiesa e la piazza antistante. Il nome deriva dal culto di Santo Stratone, introdotto qui da una colonia greca proveniente da Nicomedia. Pretoriano dell’esercito di Diocleziano subì il martirio perché rifiutò obbedienza nel perseguitare e punire i Cristiani. La chiesa del villaggio fu fondata nel 1266 da tre greci sui resti di una fabbrica romana e poi ampliata nel cinquecento. Dalla piazza partivano diverse stradine verso il mare che univano Santostrato con Marechiaro. Un’altra, chiamata la Sodesca, conduceva a S. Maria del Faro.

Giunto al Casale di Santostrato ho la sensazione di immergermi in una realtà che ha mantenuto ostinatamente le distanze fisiche e culturali con la città. Girando tra le stradine se ne coglie appieno l’identità. La gente, decisamente autoctona, sembra appartenere ad una comunità centenaria che parla un’altra lingua, venera un altro santo, e ha un altro sguardo. In alcuni punti le file di case continue s’interrompono in un cortiletto sul cui spazio interno si affacciano le abitazioni il che evidenzia l’antica vocazione agricolo – residenziale. Da alcuni punti la vista sul golfo è incantevole e si respira un assoluto senso di pace. A Santostrato nel periodo natalizio si organizza un bel presepe vivente. Le stradine e la particolare forma del piccolo agglomerato si prestano all’evento e l’intera comunità vi partecipa. Con orgoglio ti dicono che ogni anno viene anche gente da Napoli per vederlo e ti raccomandano di non mancare il prossimo anno.

Lascio Santostrato e mi dirigo verso il Parco del Virgiliano. Percorro il lungo viale per raggiungere uno dei luoghi più belli in assoluto dell’intera collina di Posillipo. Raggiungo la mia terrazza preferita, dove il busto dedicato a Simon Bolivar guarda all’orizzonte. Resto in silenzio davanti all’immenso scenario dei Flegrei.