Il Presepe Napoletano

L’itinerario che ho scelto oggi mi porta alla scoperta dell’arte presepiale napoletana. Per questo motivo mi reco alla Certosa di San Martino che ospita una delle sezioni museali più famose di Napoli. E’ qui, infatti, che si possono ammirare i presepi appartenuti alle più importanti famiglie di collezionisti napoletane come i Perrone, i Ricciardi, i Sartorius. E’ in questo museo che sono esposti, tra le altre opere, il presepe più piccolo del mondo modellato in stucco e racchiuso in un guscio d’uovo, una vergine purpurea in legno del ‘300, quattro splendide scarabattole ovvero le caratteristiche campane di vetro con le scene tipiche della Natività molto in voga nel Settecento.

Mi fermo davanti al Presepe Cuciniello, forse il più famoso dell’intera collezione, il presepe simbolo per eccellenza, composto da circa 300 pezzi e donato al Museo della Certosa nel 1877. In realtà all’origine la famosa collezione era appartenuta al sacerdote Don Domenico Solanghi, e per questo era chiamato ‘O Presebbio d’o’ prevet. Alla sua morte gran parte dei pezzi giunsero a un rivenditore noto con il nome di Mastaniello e tra gli avventori della sua bottega, ci fu anche il Cavalier Cuciniello che li acquistò per allestire la sua collezione nella casa di Via Cisterna dell’Olio. Alla morte del Cavalier Cuciniello il figlio Michele, dopo un vano tentativo di vendere i pezzi in Francia, decise di donare l’intera collezione al Museo di San Martino. Per costruirlo Cuciniello si avvalse della collaborazione di vari artisti tra i quali F. Niccolini autore del sistema di illuminazione. In realtà più di un esperto ha rilevato inesattezze sia nella prospettiva che nelle dimensioni dei pastori del presepe Cuciniello, ma io non sono in grado di poter giudicare. Mi fermo ad osservarlo con attenzione poiché  mi permette di riavvolgere il nastro fino alle origini e ricordare i momenti salienti che hanno segnato l’evoluzione artistica e culturale del presepe napoletano.

Le prime raffigurazioni plastiche della natività a Napoli sono visibili sul sepolcro del Cardinale Minutolo nel Duomo e sulla tomba di Maria d’Aragona nella chiesa di Sant’Anna dei Lombardi. Risale invece al 1478 il presepe dei fratelli Alemanno ideato per la chiesa di San Giovanni a Carbonara. Alcune delle figure di legno superstiti sono ospitate proprio a San Martino e tra esse è riconoscibile la Sibilla Cumana nelle vesti di Profetessa. A ben pensarci un primo segnale di quel che poi diventerà una simbiosi perfetta tra Napoli e il presepe. Nel 1532 Domenico Impicciati introdusse un’importante novità costruendo il primo presepe in terracotta. Nel ‘600 il presepe guadagnò in teatralità grazie all’intuizione di Michele Perrone che diede alle statuine un corpo flessibile utilizzando del fil di ferro avvolto nella stoppa per costruire il busto. Gli Scolopi della Duchesca furono i primi a rinunciare alle installazioni fisse e con un semplice accorgimento crearono i anche i primi giochi di luce. Posizionarono la grotta sotto a un finestrone attraverso il quale il sole illuminava dall’alto il bambino e folgorava i pastori.

Nel ‘700 il presepe entrò anche nelle abitazioni private e nacque il cosiddetto Presepe Cortese che ben presto si allontanò dalla connotazione più profondamente mistica per assumere un tono più profano. Un presepe dunque più mondano, disincantato e laico. Le famiglie ricche e i nobili cominciarono una vera e propria gara per ingaggiare i migliori artisti ed esporre i presepi più belli. Infatti, dal punto di vista artistico, il Settecento è certamente il secolo d’oro del Presepe Napoletano e nasce proprio in quest’epoca il figuraro, cioè il creatore di statuette. La vera personalità di questa nuova figura artistica si rivelò nella creazione di personaggi umili quali il pastore, il contadino o il popolano. Si sviluppò così un nuovo linguaggio artistico e si coniarono termini che ancora oggi sono utilizzati per indicare con precisione le varie tipologie di pastori. Accademia è il termine con il quale si indicano i pastori interamente modellati in terracotta e poi dipinti, mentre Mezzaccademia sono i pastori a torso nudo che generalmente rappresentano uomini di fatica. Il pastore disordinato, sporco e sciatto è lo Sciammanato; lo Sciacquante invece indica il pastore banchettante; le figurine non più alte di 4 cm sono ancora oggi chiamate Moschelle. Ci sono poi artisti che si specializzano nei Finimenti, ovvero nel creare gli accessori senza i quali il personaggio non può recitare il suo ruolo. Risale inoltre a questo periodo anche la creazione dello Scoglio, cioè tutto l’insieme montuoso che costituisce il presepe dove scorrono fiumi e cascate, con capanne, case, ponti e tutto quanto contribuisce a dare l’aspetto che ancora oggi conosciamo.

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Il declino del presepe settecentesco coincise con il fallimento della Repubblica Napoletana del ‘99. Da allora il presepe napoletano cambiò ancora una volta i suoi connotati pur mantenendo intatte la tradizione. Nacque il Presepe Popolare caratterizzato da una composizione che riprendeva l’orografia della città di Napoli e del paesaggio circostante. I vicoli, le piazze, i gradoni e i nuovi pastori che raffiguravano ogni sorta di mestiere, occuparono la nuova scena che iniziò a crescere su se stessa così com’era accaduto nella realtà per la città storica. In un luogo così ricco di leggende e tradizioni la nascita divina di ‘O piccirillo” diventò simbolo di una plebe che vedeva nella fede un riscatto alla propria condizione. Il presepe divenne dunque un documentario della vita popolare. Napoli a quel punto si riflette nel presepe in maniera inequivocabile e l’identificazione è tale che compaiono il Campanile del Carmine, l’orologio di Sant’Eligio, la Certosa e Castel Sant’Elmo. Insomma si può affermare che il presepe da quel momento diventa la pagina del vangelo tradotta in lingua napoletana.

Di là del fondamentale aspetto scenografico, per comprenderne al meglio la composizione e il messaggio, il presepe napoletano va analizzato secondo diversi approcci. In rapporto al mito perché retaggio culturale di antichi riti e miti perduti nel tempo; in rapporto al simbolo in quanto ricco di significati e valori espressi sottoforma allegorica; ed infine in rapporto alla tradizione poiché presenta temi, motivi e credenze presenti nell’ immaginario popolare. E allora, visto in quest’ottica, ecco che il presepe si anima, diventa rappresentazione non solo scenografica ma storica, sociale, antropologica. Assume valore e significati, fotografa la quotidianità, diventa teatro, racconto di un piccolo universo che racchiude devozione, folclore, ritualità e tradizioni familiari.

Dal punto di vista scenografico l’avvenimento, come da tradizione, è diviso in tre sequenze narrative: La Nascita, L’Annuncio dei pastori e la Taverna.

L’annuncio ovvero il regno dei pastori e soprattutto di Benino, il pastorello più rappresentativo, simbolo di vita giusta in armonia con la natura. Qui il sonno più che stato fisiologico indica sospensione dalla coscienza, il sogno può essere definito visione e il risveglio sinonimo di rinascita. Questa sensazione è rappresentata alla perfezione dal Pastore della meraviglia, colui che vede per primo la cometa e resta immobile, incredulo, con le braccia spalancate e la bocca semi aperta. Un pastore dunque che con la sua espressione rappresenta l’istante in cui il mondo precipitò nell’immobilità assoluta, la sospensione del quotidiano, quell’attimo insomma che cambiò la storia.

La Nascita, che ovviamente domina la scena, posta al centro e leggermente sopraelevata appare ricca di personaggi tra i quali non possono mancare alcuni che per ruolo e tradizione sono diventati irrinunciabili. La zingara, per esempio, da sempre simbolo di divinazione profetica, nel presepe è raffigurata con un bimbo in fasce tra le braccia, divenendo in tal modo anche simbolo di maternità pellegrina come Maria. Il suo volto scuro rimanda alle icone delle Madonne nere, venerate in molti luoghi della nostra regione. La lavandaia, la donna che attraverso l’acqua elimina il sudiciume umano e che nella sua funzione di levatrice rinvia alla purificazione e alla rinascita. Il pescatore immagine di vita così come il pesce che è simbolo di rigenerazione fisica e spirituale. Non è un caso che il termine in greco, IKHTYS, sia l’acronimo equivalente di Gesù Cristo, il Salvatore, figlio di Dio.    I Re Magi che si distinguono per la loro sapienza e conoscenza. Secondo la tradizione giungono a cavallo (non a cammello!) e rappresentano i tre continenti allora conosciuti, ossia Asia, Europa e Africa. I magi rappresentano il viaggio notturno dell’astro, la stella cometa, che termina laddove si congiunge con la nascita del nuovo Sole bambino. Da secoli in molti luoghi il 25 dicembre si celebrava la nascita del sole identificato di volta in volta con Horus, Mitra, Apollo, Oris e Adone  e per la chiesa cattolica la nascita del Bambino coincide dunque con Il sole di giustizia e verità che dissipa le tenebre del mondo. La numerosa Banda dei Bulgari che ricorda la fanfara che accompagnò in maniera ufficiale e pomposa la visita che il Viceré austriaco Daun fece all’architetto Nauclerio per ammirare il bellissimo presepe allestito nel suo palazzo di Porta Medina. Nel corso degli anni la Banda si arricchì di personaggi come etiopi, georgiani, eunuchi, schiavi che simboleggiavano le ambasciate orientali giunte a Napoli capitale del Regno.

Il terzo soggetto è la Taverna, luogo di ignari e di ingrati. Simboleggia l’albergo nel quale Maria e Giuseppe non trovarono posto. Un chiaro riferimento si trova in un’antica nenia denominata “’o lagno ‘e Natale”, che le donne napoletane cantavano per far addormentare i bambini e che recitava “Santu Nicola alla Taverna, era vigilia e nun se cammariava”. La taverna è richiamo dei beni terreni e delle tentazioni umane. La merce esposta può saziare la fame fisiologica non certo quella spirituale, la fame di Dio e della salvezza. I personaggi che la popolano sono negativi e primi fra tutti i due giocatori di carte, ovvero Zì Vicienzo e Zì Pascal  nomi con i quali anticamente a Napoli venivano indicati il carnevale e la morte. E poi l’Oste, personaggio immancabile. Colui che rifiutò l’ospitalità a Maria e Giuseppe e li costrinse a rifugiare in una stalla. L’avversario per eccellenza, l’impersonificazione delle tentazioni del diavolo.  E’ bene ricordare che in antica lingua ebraica Satana significa “avversario” termine che tradotto in greco diventa diablos.

Vi sono poi alcuni elementi scenografici molto importanti e carichi di simbologia. Come la fontana che solitamente è posizionata in una zona intermedia tra la Natività (il bene) e la Taverna (il male) e rimanda al concetto di purificazione. Il ponte, strumento di passaggio, di speranza in quanto collegamento tra il mondo terreno e quello ideale. Un altro elemento irrinunciabile è il pozzo la cui simbologia si ritrova in molte leggende antiche e indica il collegamento tra cielo e profondità, tra superficie e sotterraneo, ed è il percorso che compiono le anime dei defunti che tornano sulla terra il 24 dicembre. E, infatti, la morte è un altro elemento che caratterizza il presepe. La sua presenza si manifesta attraverso alcuni elementi simbolici come le pecore (le anime dei nostri defunti), il mugnaio oppure i questuanti. Senza dimenticare che nelle cripte cimiteriali il presepe era allestito perché assumeva anche una funzione esorcistica che a Napoli si trasformò fondamentalmente in scaramanzia. Ed è per motivi scaramantici che secondo la tradizione, il presepe non va mai messo in camera da letto.

Insomma ancora una volta mi ritrovo ad osservare e vivere Napoli attraverso un elemento, in questo caso il presepe, che anche se giunto da lontano è destinato qui ad acquisire  autonomia creativa, peculiarità, a diventare tradizione per l’innato talento di un popolo che, spinto forse da un inconsapevole senso di rivincita, riesce sempre a rendere uniche ed originali le influenze che provengono dall’esterno e le importazione di mode. Il presepe un po’ come la pizza, il caffè, il babà tutte cose “forastiere” che a Napoli diventano sublimi e inimitabili. Diventano Arte.

Con calma e un senso di leggerezza lascio San Martino e mi avvio verso il centro storico in direzione della Chiesa di Santa Marta. Ho un appuntamento con il mio amico Antonio dell’Associazione Presepistica Napoletana. Mi vuol mostrare le nuove opere esposte nella mostra che i maestri artigiani napoletani organizzano ogni anno con rinnovato entusiasmo e orgoglio per mantenere viva e forte questa bellissima tradizione. In questi anni ho imparato, anche grazie a loro, che il presepe è un mondo, è cultura, tradizione, identificazione, scoperta, rito, magia, arte, simbolismo, culto, mito, rappresentazione scenografica, racconto storico, leggende di vita e di morte.

Ho imparato semplicemente che il presepe è Napoli. A nuje ‘o presepe ce piace!