Le anime pezzentelle

 

Requie, repuoso, refrisc e cunzuol”. “Anime sante, anime purganti, io so’ sola e vuje site tante …….”

Così recitano alcuni preghiere dell’antico e nobilissimo culto delle anime pezzentelle ovvero delle anime del purgatorio.

La morte a Napoli è una cosa seria ma mai definitiva e sin dalle origini “il trapasso” ha interagito con la realtà. Gli Alessandrini erano di casa e hanno lasciato la loro impronta indelebile nel rapporto che il popolo ha instaurato con la morte e con le sue dimensioni.

In Campania il culto del Purgatorio giunse agli inizi del seicento quando si diffuse la coscienza di uno “stato” nel quale si viene a trovare l’anima del defunto subito dopo la morte e dove le preghiere e l’intercessione dei vivi possono essere di conforto e di aiuto. La città di Napoli è stata il centro dell’arcano culto delle anime pezzentelle e i luoghi di questa devozione sono ancora oggi il Cimitero delle Fontanelle nella cui navata centrale sono conservati i resti degli appestati, mentre la navata di destra contiene i pezzentelli e la gente povera; la Chiesa di San Pietro ad Aram e la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco.

L’anima pezzentella è l’anima anonima che invoca il refrisco, ovvero l’alleviamento dalla pena. Si cercava, quindi, di stabilire una relazione diretta con l’anima tramite l’adozione di un teschio, che era accudito ed ospitato in apposite nicchie. Il fedele si prendeva cura dell’anima adottata in cambio di una grazia. Si trattava di richieste per risolvere piccoli problemi della vita quotidiana o spesso per una vincita al lotto, creando in tal modo un culto ai limiti del pagano e del superstizioso. Generalmente si costruivano degli altarini, che custodivano insieme ai teschi anche santini, rosari, gioielli e oggetti di uso quotidiano. Spesso le piccole nicchie ricavate nelle pareti dell’ipogeo erano costruite utilizzando mattonelle da cucina proprio per far sentire il defunto a casa e in famiglia.

Il rituale prevede che la persona individua una capuzzella, la porta fuori dalla massa dei teschi anonimi, le asciuga il sudore che è il segno evidente delle fatiche che l’anima sostiene per arrivare in paradiso, e poi le mette un fazzoletto bianco intorno. In tal modo l’anima riceve i primi refrischi, fatti di fiori, preghiere e di offerte di ceri. Se l’anima dà segni di risposta, viene ulteriormente curata e a quel punto si mette una corona del rosario e il fazzoletto è sostituito con un ricamo di merletto. Quando l’anima è ormai salva, ricambia la benevolenza esaudendo le richieste di coloro che l’hanno aiutata. Sarebbe forse più giusto dire che è il fedele a essere scelto dall’anima, che gli appare in sogno con le sembianze che aveva in vita e gli indica il modo per riconoscerla tra i tanti teschi.

Nel 1969 la Chiesa Cattolica ha proibito il culto ma Napoli, per fortuna, ha sempre rivendicato una certa indipendenza dalla religione istituzionale. Lo testimonia anche il fatto che neanche San Gennaro ha mai ottenuto il riconoscimento ufficiale dal Vaticano come patrono della città, che il suo culto è solo tollerato e il miracolo mai riconosciuto. Quando Paolo VI decise alla fine di degradarlo a santo locale, la delusione, la genialità e l’anarchia del popolo napoletano furono riassunte in una sola parola: “Futtetènne!”.

Questo vale anche per il culto delle anime pezzentelle che, seppure in maniera più limitata, è ancora vivo. I fedeli si rivolgono soprattutto ai teschi più celebri tra quanti presenti nei vari luoghi di culto. Nell’ipogeo del Purgatorio ad Arco è custodito il teschio adornato con il velo da sposa della celebre e amata Lucia; nel Cimitero delle Fontanelle i teschi del Capitano, di Donna Cuncetta (‘a capa ca sur) particolarmente cara alle novelle spose in cerca di grazia per avere figli e ‘a Capa ‘e Pascal specializzata nel suggerire numeri al lotto. Fondamentalmente queste raffigurazioni rappresentano la folla anonima e sterminata di spiriti dolenti che popolano le profondità. Infatti, è importante ricordare che il culto coinvolge non solo i propri morti ma tutti i defunti che vagano nelle viscere della città di Napoli.

Sull’altare della Chiesa del Purgatorio ad Arco ci sono due dipinti di Massimo Stanzione e Giacomo Farelli che in sequenza verticale rappresentano visivamente il culto del rifrisco e il momento del passaggio dal purgatorio al paradiso. Appena sotto appare lo splendido “Teschio alato” di Dionisio Lazzari simbolo di morte, pentimento ed elevazione dell’anima. Appena vi è possibile, andateci.