Monteoliveto

Passeggiare lungo Via Monteoliveto mi dà sempre la sensazione di attraversare una sorta di collante che tiene insieme diverse anime della città; un elemento di collegamento e dialogo tra realtà, epoche e storie differenti.

E così la Napoli medievale, che fa capolino oltre la piazzetta di Santa Maria la Nova, si trova a fronteggiare l’imponente struttura del Palazzo delle Poste di epoca fascista. E poi la Napoli rinascimentale e quella spagnola s’inseguono fino a confluire nello Spirito Santo al cospetto del Palazzo che accolse Garibaldi al suo ingresso a Napoli.

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Nel percorrerla oggi è difficile immaginare che Via Monteoliveto un tempo era un ampio declivio al di fuori delle mura, in un’area scarsamente edificata. La zona era formata sostanzialmente da tre ampi e splendidi giardini denominati Ampuro, Carogioiello e Biancomangiare che occupavano un’area vastissima. Questi giardini purtroppo ebbero vita breve e furono fagocitati da case, palazzi e nuove strade. Il primo a cadere sotto i colpi dell’espansione fu il Biancomagiare, espropriato per costruire Via Toledo, Via Monteoliveto (inizialmente chiamata Strada Rivera dal nome del viceré che la fece edificare) e Via Sant’Anna dei Lombardi. Del secondo, il giardino Carogioiello che si estendeva fino all’attuale Piazza Carità, ne rimarrà solo una traccia nella strada di collegamento tra Via Sant’Anna dei Lombardi Via Toledoovvero Vico Carogioiello, che poi diverrà Via Tommaso Senise. Il terzo, denominato Ampuro,  arrivava presso la Porta delle Correggie e confinava col piede del Colle di Sant’Elmo.

Comincio la mia passeggiata scendendo i gradoni del palazzo delle poste. Da sempre questo è luogo di ritrovo e scambio dei collezionisti di francobolli e monete antiche. Ci sono poi i venditori che espongono la merce più disparata sui gradoni. Mi fermo a curiosare, a cercare di individuare la provenienza di questi oggetti e soprattutto la destinazione finale, mi diverte la loro perfetta e bella “inutilità”. Con un pizzico di nostalgia guardo l’insegna dell’ex cinema Adriano. Appartengo alla generazione universitaria post-terremoto, quella cui capitava di seguire i corsi ovunque. I luoghi più gettonati erano le sale cinematografiche, funzionali per la capienza ma inadatte per la loro atmosfera. E così i primi due anni li ho trascorsi in questo cinema e ricordo le corse per accaparrarsi un posto tra le prime file. Era l’unica opportunità reale per seguire la lezione. Il resto conciliava solo il sonno.

Proseguo la mia passeggiata giocando con i ricordi e poco oltre mi fermo davanti al “modernissimo” Palazzo degli Orsini di Gravina con il suo bugnato in travertino e i busti di alcuni membri della nobile famiglia. L’antica e illustrissima famiglia romana Orsini, ricoprì le più alte cariche in campo civile, militare ed ecclesiastico; ebbe ben cinque Papi e numerosi cardinali, molti feudi e titoli.

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Gli Orsini generarono molti rami, il più illustre fu forse quello dei Duchi di Gravina . Il Duca Ferdinando Orsini, fece erigere il palazzo nel 1513 e considerata la particolarità del suolo napoletano, pieno di pendii, che genera prospetti di solito obliqui, questo è uno dei pochi palazzi napoletani di cui è ben visibile il frontale.

Il palazzo, che oggi ospita la sede della facoltà di Architettura, è stato teatro di numerosi avvenimenti. Nel 1589 Ferrante Imperato, Capitano della Piazza di Nido, vi realizzò un museo naturalistico all’epoca visitato da numerosi studiosi europei.

Durante la Rivoluzione del ‘99 il palazzo fu confiscato dalle truppe francesi; più tardi divenne quartier generale dei rivoltosi liberali nei moti del 1848. Fu, infatti, considerato sede principale del circolo rivoluzionario, della stamperia e fucina di ogni ribellione. Ultima e difficile barriera da conquistare fu teatro di scontri sanguinosi, di giustizia sommaria e di saccheggi e infine incendiato.

Di fronte al Palazzo Gravina vi era l’abitazione del giurista Giuseppe Valletta, stimato in tutta Europa per la varietà delle sue conoscenze linguistiche, ma soprattutto per la sua famosa libreria che raccoglieva 15 mila volumi rarissimi greci, latini, spagnoli, francesi, italiani ed inglesi, con molti manoscritti e  pergamene. La biblioteca all’epoca rappresentava una delle cose più pregiate della città ed era apprezzata da ogni forastiero che vi giungeva, e dai più grandi personaggi dell’epoca. Collezione che successivamente andrà ad arricchire la famosa Biblioteca dei Girolamini.

Percorro ancora qualche metro e mi trovo di fronte alla simbolica fontana di Monteoliveto, eretta nel 1668 dedicata a Re Carlo II, ultimo re spagnolo della dinastia degli Asburgo. Il re è raffigurato come un fanciullo, a ricordare che fu incoronato all’età di 4 anni  e per questo è detta anche Fontana del Re Carluccio.

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La fontana m’introduce alla piazzetta, dove si trova quel capolavoro artistico oggi conosciuto come Chiesa di Sant’Anna dei Lombardi.   

Il complesso monastico fu costruito in epoca angioina per volere di Guerello Origlia, cavaliere napoletano del sedile di Porto, sul luogo dove sorgeva una piccola chiesetta detta Santa Maria de Scotellis. E’  in epoca aragonese che il Monastero degli Olivetani divenne uno dei più vasti e importanti luoghi religiosi di Napoli. Fu affezionatissimo di questi monaci il re Alfonso II d’Aragona. Infatti, si racconta che Il sovrano spesso vi si recasse a pranzo, e che addirittura servisse a tavola. Anche altri signori del regno erano soliti trascorrere gran parte del loro tempo in quel monastero che divenne un’oasi cittadina nella quale i potenti potevano ritirarsi per discorrere dei pubblici affari. Il fantastico complesso Olivetano era formato da sette spazi aperti e quattro chiostri. Il chiostro più grande è oggi occupato dalla caserma dei carabinieri e purtroppo l’accesso non è consentito. Solo pochi privilegiati lo possono ammirare. Sarei molto curioso di vedere il pozzo settecentesco in marmo posto al centro e sul cui architrave si legge: “Chi berrà questa acqua ne avrà di nuovo sete”. Vi erano inoltre una famosa libreria e un’importante farmacopea. I giardini del Monastero erano vastissimi e quasi tutte le case pagavano il censo ai monaci per il suolo, così come le tre taverne presenti nella zona. Una si chiamava Alomiragliato (detta anche Smeragliato Vecchio), frequentata, come le altre, da ruffiani, smargiassi, e sciammeriella, categorie che pare godessero della protezione della famiglia reale. Secondo la tradizione tra le reliquie che il Monastero custodiva, vi erano parti della Croce di Cristo, due spine della corona, una costola di san Cristoforo e una delle saette con cui fu colpito nel suo martirio.

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A quel tempo i legami politici e culturali con la Toscana erano ben saldi e la chiesa di Monteoliveto rappresenta uno splendido esempio di questo connubio, non solo perché i monaci benedettini Olivetani provenivano dalle terre senesi, ma anche per la presenza di artisti come Vasari, Rossellino, Benedetto e Giuliano da Maiano.  Senza dimenticare però l’influsso apportato dagli artisti locali tra cui spiccano le opere marmoree del Santacroce e del Merliani. In questa chiesa, precisamente sulla tomba di Maria d’Austria nella Cappella Piccolomini, si trova anche una delle primissime raffigurazioni plastiche della natività presenti a Napoli; prototipo di quella che poi sarebbe diventata una tradizione artistica e culturale di cui la città può essere considerata la capitale assoluta.

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I monaci furono espropriati di tutti i beni ed espulsi nel 1799 per simpatie pro Repubblicane e ironia della sorte  il complesso fu utilizzato come tribunale per giudicare i rivoltosi. In seguito fu scelto come sede del Parlamento nel 1848.

La prima volta che ho visitato la chiesa ebbi la fortuna di incontrare Stefano, addetto all’accoglienza e pozzo da cui attingere. Mostrandomi l’altare dell’annunciazione nella Cappella Terranova opera di Benedetto da Maiano, mi disse: “Guarda. Questo non è né un bassorilievo, né un altorilievo, E’ semplicemente un ricamo nel marmo”. Da allora mi sono innamorato di questo luogo e ci torno volentieri ogni volta che ho bisogno di “bellezza”.

Riscendo lungo la piazzetta, l’occhio è rapito dall’imponente bellezza della Guglia dell’Immacolata, che si staglia in cima alla Calata Trinità Maggiore, ideale punto di partenza per esplorare la Napoli greco-romana. Dal punto di vista della toponomastica Via Monteoliveto termina qui per poi confluire in Via Sant’Anna dei Lombardi ma è difficile considerarle come due entità distinte. E così lentamente risalgo fiancheggiando i bei portali di alcuni palazzi settecenteschi fino ad arrivare in Piazza 7 settembre. Credo che in realtà pochi napoletani utilizzino il nome ufficiale di questa piazza. Per tutti, infatti, questo è semplicemente lo Spirito Santo.

Qui sorgeva una delle porte della città e le cui vicende sembrano alquanto travagliate. Originariamente era denominata Porta Cumana e sorgeva nell’area occupata dall’odierna piazza San Domenico Maggiore. Tale porta di ingresso in città fu poi,  spostata nei pressi della Basilica di Santa Chiara, grazie a un rifacimento portato a termine nel 1268. Dopo la costruzione dell’asse viario di via Toledo, nel 1536, prese il nome di Porta dello Spirito Santo, mutuando il nome dalla zona in cui fu posizionata e vi fu posta una statua di San Gaetano di Thiene. Nel settecento, a causa dei problemi che causava al “traffico” del tempo, ma anche per le sue precarie condizioni di stabilità, si decise l’abbattimento della porta e la statua di San Gaetano fu posizionata su Port’Alba dove ancora oggi è ben visibile.

Oggi la piazza è dominata dal Palazzo Doria d’Angri ricordato perché nel 1860 vi fu ospitato Garibaldi che qui, come ricorda l’epigrafe posta sulla facciata, annunciò l’annessione del Regno delle Due Sicilie all’Italia. Era, infatti, il 7 settembre 1860. Ma qui inizia un’altra storia su cui ancora c’è tanto da dire. Così scendo pian piano verso Toledo, mi perdo nei suoi suoni, nei suoi colori pensando già al prossimo itinerario. E’ ora di un caffè…..