Mezzocannone

Via Mezzocannone ed il primo pensiero corre all’Università, alle migliaia di gambe, sguardi, libri, idee e ansie che quotidianamente da secoli si incrociano e si rincorrono per coronare un sogno. Quell’Università degli Studi, magnifica intuizione post-moderna di un re “Barbaro”, Federico II di Svevia, che in pieno medioevo volle dotare Napoli della prima Università statale e laica d’Italia. Oggi che quella frenesia è per me solo un ricordo, che non ho panini e caffè da consumare in fretta tra un corso universitario e un seminario, oggi provo a percorrere Via Mezzocannone con calma, alzando lo sguardo, curiosando, perdendomi, ispirato dalla storia e da un pizzico di fantasia che a questa latitudini è sempre bene non dimenticare.

Mezzocannone che già nel nome induce curiosità e si presta a svariate interpretazioni. Era epoca Aragonese quando in questa strada, già Strada di Fontanola, si decise di costruire una fontana per abbeverare uomini e cavalli, una delle tante di Napoli che all’epoca abbondava di acque. Una fontana con un unico “rubinetto” che ricordava una bocca di cannone (da cui prese il nome) e sormontata da una statua raffigurante il Re Alfonso che nelle intenzioni doveva rappresentare un omaggio al monarca, ma che risultò essere talmente ridicola, tozza e malfatta, da essere utilizzata dal popolo per denigrare persone goffe e panciuta ma ambiziose e convinte delle proprie capacità tali da meritarsi l’epiteto “Me pare ‘o re e Miezucannon.

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Ma ovviamente Mezzocannone è stata molto di più e va ben oltre il suo attuale nome. La sua storia inizia un bel po’ di secoli prima. Fin dalle origini potremmo dire. Dapprima luogo di confine, ultima propaggine verso il mare della NeaPolis greca per poi diventare in epoca romana Vico degli Alessandrini, parte del Regio Nilensis a ricordar la colonia di commercianti egiziani che qui si stanziava, edificava i suoi templi e onorava il Fiume benefico della madre patria, la cui statua rappresentata da un vecchio sdraiato ed appoggiato ad un sasso donde sgorga acqua, ancora oggi è ben visibile nell’adiacente Largo Corpo di Napoli. Il Vico degli Alessandrini era una stradina stretta, le cui mura perimetrali sono appena ed in piccola parte visibili all’interno di quel che per decenni è stata una sala cinematografica, e chiusa tra la Porta Ventosa, così detta “per il vento che di continuo vi si sentiva venuto dal mare che gli stava d’appresso” , e lo sbocco a mare nell’estremità inferiore.

ricostruzione della Napoli greco-romana
Neapolis – ricostruzione della Napoli greco-romana

Ma Napoli, si sa, è terra di leggende fin dalle sue origini. Non se ne può prescindere se si tenta di viaggiarci dentro. Non sarebbe la stessa. Le leggende, come diceva B. Croce, sono prodotto dello spirito collettivo, del genio e dell’anima popolare. Tre elementi in cui questo popolo non sembra deficitario. E storia e leggenda come sempre s’inseguono e si mescolano fino a renderne labili i confini. E così, percorrendo Via Mezzocannone, risalendo in direzione Decumano Inferiore, in cima ad una scala al fondo di un vicoletto, scorgo uno dei più straordinari esempi di stratificazione storica che va dal periodo classico, a quello paleocristiano, sino a quelle più recenti. La Basilica di San Giovanni Maggiore, un autentico palinsesto carico di storia, mito e testimonianze archeologiche e artistiche.

La tradizione infatti vuole che sul luogo dove sorge questa chiesa, all’epoca un dirupo sul mare, vi fosse stata seppellita Partenope, la sirena a cui il mito antico attribuisce la fondazione della città di Napoli.
Ed in quello stesso luogo, in epoca romana, venne eretto per volere dell’imperatore Adriano, un tempio maestoso e grande dedicato al suo amato “giovinetto” Antinoo. Tempio che, sempre secondo la tradizione, fu convertito in chiesa cristiana da Costantino nel IV sec. d. C. e le cui tracce son ben visibili nell’abside della moderna Basilica.

Proseguo nel mio cammino e sulla facciata di un palazzo, sopra un’ evocativa anche se improbabile moderna insegna di bar, osservo il bassorilievo che rappresenta un uomo villoso armato di lungo pugnale. E’ l’immagine di Niccolò Pesce, le cui leggendarie gesta si son narrate in svariati angoli del Mediterraneo. Niccolò era un fanciullo che amava starsene sempre in mare e che per questo si “ guadagnò” una maledizione della madre che gli augurò di diventar pesce; e da pesce o quasi visse il resto della sua vita. La sua fama giunse al Re che gli commissionò di indagare i mari alla scoperta di tesori e misteri. Finché un giorno gli chiese l’impossibile: raggiungere una palla di cannone sparata nelle profondità. Niccolò obbedì pur sapendo che non sarebbe più riuscito a risalire e quando alzando il capo vide che le acque lo coprivano come un marmo sepolcrale ne ebbe la conferma definitiva. Il bassorilievo fu ritrovato durante il “Risanamento” non lontano dal luogo dove oggi è visibile e secondo i più eruditi originariamente raffigurava Orione, il cui tempio fu edificato proprio in questa zona. Che sia Orione o Niccolò Pesce, poco importa: è un’altra pagina indefinita di questo luogo indefinito.
 Salgo ancora fiancheggiando l’edificio dell’Università. Sono al termine della mia passeggiata. Mi fermo in prossimità di San Domenico Maggiore. Qui, un tempo principio del vicolo, forse era il Tempio di Cerere, dea della fertilità e al cui culto si usava “scarificare il porco”. Usanza che continuò anche in epoca cristiana quando al culto di Cerere subentrò quella della Vergine ed il porco si uccideva nella Cattedrale per poi distribuirlo ai poveri. E in epoca più recente sembra che “questa funzione si faceva poco lungi da questa chiesa, in quella di Sant’Andrea, e si divideva fra li maestri de’ studenti”.

Mi guardo intorno, respiro, registro le immagini e ne faccio memoria. Anche oggi ho lasciato le mie orme in questa strada, Mezzocannone, confondendole con milioni di altre lasciate nei secoli. Ho energia sufficiente per il nuovo itinerario che mi appresto a percorrere ……